Marina Cremonini, la libertà di essere a colori.
I silenzi del bosco, il vento fra gli
alberi, un orto ingombro di zucche e corvi di vedetta sui rami spogli. Guardo
le immagini di Marina e mi sembra di scivolare sempre più in una fiaba. Ho
l’impressione che queste scene facciano parte di lei. Agronoma, insegnante di yoga, le sue conoscenze empiriche ed interiori,
a un certo punto, si sono incanalate nelle sue mani e hanno trasformato tutta
questa bellezza in illustrazioni.
Marina, come sei approdata
all’illustrazione? È qualcosa che coltivi da sempre o questa tua esigenza di
esprimerti attraverso il disegno è sorta in qualche momento preciso? Ci
racconti il tuo percorso formativo?
Ho
sempre disegnato, fin da piccola, anche se non ricordo molto dei miei primi
anni.
So che i pennarelli, e poi la matita, sono stati una grande compagnia, un
“luogo” dove andavo a fare visite a posti fantastici che “vedevo”, come mi
racconta mia mamma. Nell’adolescenza disegnare è diventato un vero mondo
parallelo, che mi ha aiutato a superare un momento totalmente buio. Allora non
facevo vedere a nessuno quello che disegnavo, per vergogna e intimità. Non ho
fatto né liceo artistico né accademia perché i mie genitori non me lo hanno
permesso, ed io non sono stata ribelle abbastanza da andargli contro (come
tanti adolescenti invece han fatto) e ascoltarmi: allora ero “lontana da me” e
da quella voce che ora trovo sia la base della creatività.
Così,
dopo il liceo scientifico, mi sono iscritta alla facoltà di Agraria, che ho
amato molto, e che mi ha portato ad osservare scientificamente alberi e piante,
mi ha avvicinato al biologico, e poi alla
biodinamica, e mi ha portato a stare 6 mesi in India per la tesi , dove ho
iniziato a praticare Yoga. Grazie allo Yoga ho potuto poi coltivare il mio
innato lato “spirituale” oltre che “fisico”. E’ stato ai primi anni di
Università che ho ritirato fuori le matite per un corso di disegno botanico. Ma
disegnare era uno tra i tanti interessi che avevo, sebbene fosse un amore
forte… era lì.. come una piccola brace sotto uno strato di cenere troppo spesso.
Esame
di stato, poi il tanto agognato (dalla mia famiglia) lavoro a tempo
indeterminato in un’ azienda che ora è tra i colossi dell’agricoltura
bolognese, e, nel 2007, una malattia rara, che mi ha fermata per molti mesi, anni
direi, e mi ha costretto ad ascoltare quella voce di cui prima. Un urlo in
realtà.
Quell’urlo
ha soffiato via un po’ di cenere. La brace ha preso aria, e si è acceso un
fuochino.
Da
lì mi sono licenziata facendo un vero salto nel vuoto, e mentre ho iniziato a
insegnare yoga, e studiare l’agricoltura biodinamica (con la sua visione
poetica e quasi “animista” della natura), mi sono iscritta a un corso di
acquerello: è stato amore a prima vista.
Il
fuoco si è acceso definitivamente, altra cenere se ne è volata via, e ho
cominciato a ritrarre prima le cose amate, quindi la natura e le piante, poi mi
sono appassionata ai taccuini di viaggio, al disegno dal vivo, e da lì,
seguendo un flusso di eventi a volte magico, mi sono trovata ad aprire partita
iva, ad avere le prime commissioni (la prima fu di Caffarel, la nota azienda di
cioccolato, poi di foodillustration con un contatto a sorpresa, da Rizzoli, per
un famoso chef, poi di illustrazioni per l’infanzia…) e pian piano sto andando
avanti, costruendo una professionalità, e soprattutto delle basi che,
purtroppo, mi sembra sempre di non avere.
Ho
studiato, e continuo a studiare, passando come tutti, per Sarmede, la scuola di
Macerata, Roma, e facendo corsi con gli illustratori che amo.
Trovo
ora sempre più necessario per creare al meglio illustrazioni che abbiano
“vita”, e forza, dare spazio a quella voce che non ho ascoltato per tanti anni,
e che continuo a cercare, oltre che alla leggerezza, all’ironia, al nostro lato
bambino e a quello selvaggio. Questo percorso, questo cercare di
“diventare-ciò-che-si-è-e-che-ci-siamo-scordati-di-essere”, è un percorso che
accomuna tante persone.
L’acquerello,
disegnare, illustrare (e condividere il tutto) sono mezzi meravigliosi per
farlo.
Proprio in questo periodo hai sistemato
il tuo nuovo studio. Una tappa importante, un nuovo inizio! Immagino
l’entusiasmo che provi! Cosa guarda la finestra? In questo spazio hai degli
oggetti particolari che ti servono per l’ispirazione o come porta fortuna o che
per altre ragioni devono sempre esserti vicini? Musica o silenzio mentre
lavori? Insomma cosa contiene e cosa vorresti che contenesse il tuo nuovo spazio
creativo?
E’
un sogno diventato realtà. E’ dal nuovo studio che sto scrivendo… se penso che
ho iniziato con un piccolo tavolo in cantina, che mai avrei immaginato di fare
questo mestiere, e che fino a poco fa lavoravo in cucina, con pochissimo
spazio, magari tra l’odore dei broccoli (bio ovviamente! ;- ) ancora mi
emoziono!
Ora
mi sento finalmente “una regina con un regno”.
(…in
realtà la contea in cui vorrei creare è in Appennino, magari da grande sposterò
la mia magione tra i castagni centenari… o comunque nella natura )
La
finestra guarda sulla facciata di una delle poche case di ringhiera rimaste a
Bologna, non è una gran visuale, ma amo la Bolognina, un quartiere popolare e
umano, una specie di paese. Purtroppo non si vede nemmeno un pezzetto di cielo.
E’ la mancanza più grande, assieme agli alberi. Ma ho riempito il davanzale di
ciclamini, e ci sono tante di quelle luci che sembra sempre agosto. La mia
finestra illumina tutta la via di notte !
Oggetti
necessari… non proprio, ma piante, che mi fan sentire in compagnia, e ho voluto
metterci un divano, per i momenti in cui per creare devo chiudere gli occhi e
abbandonarmi. Ho la fortuna di avere un’ ulteriore stanza in più, qui a fianco,
che ho voluto lasciare vuota: serve per fare yoga, per danzare, per meditare,
per accogliere amici (e bilanciare la tanta solitudine di questo lavoro). In
agricoltura biodinamica viene insegnato che nell’azienda deve restare uno
spazio non coltivato di modo che il vento possa portare i semi delle piante che
serviranno a “guarire” i disequilibri dell’anno a venire, magari a combattere
insetti, o portare essenze che saranno necessarie, o semplicemente a portare una
bellezza selvatica e disordinata. Per anni quel vuoto nella vita mi ha fatto paura,
mentre nei 45 m
di casa/studio mi era mancato. Ora sento che quel vuoto è necessario per creare,
e ho fatto quella stanza pensando al vento che porta l’inaspettato.
Sul
tavolo alla mattina non manca mai una tazzina sporca di caffè, e verso le 19 un
calice di bianco fermo :-D.
Ascolto…
tante cose. A seconda della fase creativa: musica (che varia a seconda
dell’umore), radio, conferenze, ma anche silenzio.
Hai lavorato per delle grosse aziende e
per degli editori, che lavoro ti è piaciuto particolarmente? Ci presenti i tuoi
libri? Progetti per il futuro? Storie che ti stuzzicherebbe illustrare?
Esperimenti che vorresti fare?
In
questi anni tutto è volato così veloce, che fatico a rendermi conto.
Forse
il primo dei due libri per Rizzoli, per Bruno Barbieri, è stato il più
emozionante. Mi sentivo totalmente impreparata, ma animata da un qualche cosa
che non scorderò mai, bruciavo dentro. I tempi di consegna erano assurdi, era un’estate
caldissima ed ero senza condizionatore, avevo lo scanner preso alla Coop, a
volte mi dovevo mettere il collarino anticervicale (!) perché non sapevo dosare
le energie, e mi veniva chiesto di fare “quella cosa più cotta, lì più salsa,
lì un coppapasta tondo”, e non avevo le foto dei piatti finiti, mentre erano
quelli, che dovevo dipingere e “vedere”, e “impiattarli” alla Barbieri!
Il
lavoro che ho amato di più, e che mi ha fatto diventare illustratrice, è un
taccuino sull’Appennino Tosco Emiliano, che ho autopubblicato, prima ancora di
“crederci”. Ora lo rifarei diversissimo, ma è quello che mi ha letteralmente
cambiato la vita.
Ho
molto amato il gatto di San Francesco (ed. Terrasanta), Emèline, ma anche i due
racconti illustrati per la scrittrice (e ora grande amica) Francesca Casadio
Montanari (che ruotano attorno ai magici boschi di Querciantica, ed. Alkemia
Books). Mi emoziono a vedere negli autogrill le tavolette di cioccolato con le
città italiane che ho illustrato per Caffarel, e questa estate ho fatto un
calendario per le Acli, commissionato da un simpaticissimo Frate eclettico e
dinamico, Chi fa cosa 2018, che mi ha molto appagata perché mi han dato totale
libertà, e mi sono messa alla prova in vario modo.
Ho
finito un bel libro su ricette e film, divertentissimo, con una piccola casa
editrice francese (Cheforama, ed. Nouriturfu), che mi ha tanto appagato dal
punto di visto della relazione personale, e probabilmente nel 2018 nascerà un
altro bellissimo libro con loro che non posso anticipare. Anche realizzare uno
spot tutto in acquerello, vecchio stile, che è andato nelle sale
cinematografiche di Bologna per un po’, mi ha divertita molto.
Il
mio sogno? È essere in grado di illustrare racconti “di guarigione”, fiabe per
qualsiasi età, che possano soffiare un po’ sulle ceneri e riattizzare i fuochi
soffocati. O anche solo con il “potere” di trasportare chi osserva in un
altrove leggero, sereno… nella Bellezza. Il tutto cercando sempre divertimento
e piacere, per continuare a vivere questo come una cosa che amo, non solo un
lavoro.
Mi
sono arrivati alcuni racconti scritti da sensibili colleghe scrittrici che
considero tali, racconti di guarigione appunto, “esseri preziosissimi” che
devono andare in giro per il mondo a sussurrare il loro messaggio e hanno
bisogno di un vestito adatto, e davanti ad essi provo un grande anelito,
l’entusiasmo bambino, assieme alla mia parte sempre insicura, sempre convinta
di non essere capace di fare il vestito giusto, di dover avere più spilli, più
fili colorati, più forbici… Ma amo le
sfide, spostare i limiti, e desidero imparare di più sullo “sceneggiare”, sul
creare i personaggi. Questo è un lavoro dove non si smetterà mai di studiare e
imparare! E mi emoziona molto pensare che a 80 anni potrò ancora stupirmi e
studiare cose nuove.
Purtroppo
realizzare casa e studio mi ha creato mille inconvenienti, e ho “perso” quasi 4
mesi di lavoro e ora sto correndo ai recuperi.
Un
esperimento che vorrei fare? Far incontrare l’acquerello con altre tecniche ma in
modo pulito e dare vita a un racconto che io stessa ho scritto, una fiaba.
Inizialmente volevo illustrarla, condividendo anche i testi. Ma non sono scrittrice,
e più vado avanti più trovo che il silenzio, sia molto più adatto a dire certe
cose che vorrei “dire”… e vorrei quindi trasformarlo in un silent book,
categoria di libri che amo infinitamente per la forza che le immagini hanno di
parlare a ciascuno, in un linguaggio universale, portando il messaggio
esattamente lì, nel luogo e nel modo perfetto per ogni “osservatore”.
Tra le tue tavole ci sono delle
vecchine simpaticissime, flora e fauna in tante declinazioni, e ambientazioni domestiche
che rincuorano, ma anche donne dei boschi, spiriti degli alberi, personaggi che
evocano antiche magie e realtà ancestrali. Cosa ci puoi raccontare di questi
incantevoli soggetti?
..eh…
che domandona! Forse perché dovrei parlare di cose intime per rispondere… mi
trovo un po’ in difficoltà!
Se
è vero che un artista ritrae sempre se stesso, in qualunque cosa rappresenti, credo
che quelle siano tutte parti molto forti di me, a cui devo “dare da mangiare”,
regolarmente, a turno, per stare “in equilibrio”, per gestire il mio “sturm und
drang” costante… e quindi devo nutrire anche le mie parti “vecchine” (o il mio
lato super saturnino, come direbbe un mio amico astrologo!) Alla fine ognuna di
quelle parti è una specie di filtro, di occhiali, attraverso cui guardo la realtà
da una diversa angolazione, e la racconto. Molta ispirazione la attingo dalla
quotidianità semplicemente “cambiando lente”, oltre che da luoghi che mi capita
di visitare, reali come i boschi, o immaginari.
Credo
che ogni esperienza/cosa/persona abbia più strati, e ho una specie di bisogno
incontenibile di sfogliare questi strati…di scendere giù giù, come un
sommozzatore… negli abissi buoi di un fondale a cercare creature preistoriche e
mostri per imparare a non averne paura… ma altrettanto di salire in alto,
nell’aria gioiosa e tintinnante, nella luce pura, dove volano le aquile. Allo
stesso tempo ho bisogno di respirare la semplicità “del mezzo”, di un vaso di
ciclamini, le rughe di un volto, l’ombra di un bicchiere… un carciofo.
Quando ti allontani dal bosco, dove ti
piace andare? La tua Bologna ad esempio, come alimenta e arricchisce, se lo fa,
la tua parte creativa?
Purtroppo
nel bosco ci andavo di più qualche anno fa, prima di fare l’illustratrice,
mannaggia!! Per via del trasloco però ho passato recentemente due mesi in
Appennino, e aaah… quanto mi manca averlo dietro casa.
Vado
spesso ad un parco a Bologna, vicino lo studio, dove cammino (cammino tanto,
appena posso), e a guardare il cambio delle stagioni.
Amo
il centro di Bologna, e per staccare della solitudine, mi immergo nelle vie
ormai piene di turisti goderecci, e mi rallegro con calici di buon vino (e se
si può buon cibo!) e serate passate a ridere con buoni amici, e chiacchierare
fino a tardi… cerco calore. In certi momenti, cedo allo shopping cittadino…ogni
tanto fa così beeeene! Compro tanti libri, le creme antirughe quando sono in
premestruo, lo smalto e dei vezzi quando sono allegra, e pratico yoga, da sola,
e in due scuole.
Altro
posto magico di Bologna è San Luca: una lunga camminata con la musica nelle
orecchie sotto i suoi portici mi carica sempre, si vedono infinite sfumature di
umanità, da penitenti in preghiera, a superfisicati imperlinati di sudore in
top all’ultimo grido, a claudicanti determinati e animati da chissà quale
forza, personaggi di ogni etnia ed età, un paio di barboni che hanno lì casa…
ma tutti accomunati dal salire quelle scale, ognuno a proprio modo, col proprio
tempo, col proprio motivo, con la voglia di arrivare in cima. E riscendere.
Ogni volta torno svuotata nella testa, ma carica di storie. Amo San Luca.
Così
come un giro sui colli in estate, a cercare le lucciole, o il luccichio di
Bologna dall’alto (peccato per le zanzare…).
Cerco
di andare a vedere le mostre interessanti che la mia bella città offre.
Grazie Marina!
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