Intervista a Maura Picinich



Maura Picinich vive e lavora a Trieste. È stata redattrice di riviste di letteratura per ragazzi e ha fondato e presiede il “Centro di Letteratura Giovanile A. Alberti”. Con i suoi libri per bambini ha vinto numerosi premi letterari, tra cui il premio “Città di Marostica”. Ha tradotto in italiano numerosi libri per ragazzi.


Il suo studio

Come mai ha deciso di scrivere per i bambini e i ragazzi?

Ho sempre scritto fin da ragazzina. Era una mia esigenza mettere sulla carta i miei pensieri, quello che sentivo dentro e che non avrei raccontato a nessuno. Cosi’ inventavo storie fantastiche e mi immedesimavo nei personaggi, storie e avventure che mi sarebbe piaciuto vivere ma che superavano il limite del possibile. Ovviamente. Avevo una fantasia scatenata, e forse attraverso la scrittura ponevo freno alle mie azioni.

 
C’è ancora un racconto in sospeso che un giorno spera di riuscire a tirar fuori?

Si’, una specie di fantasy che però ha un riscontro reale, ma non so se lo concluderò. A volte quello che si scrive può essere puro esercizio di scrittura. Serve magari per altri possibili racconti o romanzi. Per questo salvo ugualmente i file. Possono sempre tornare utili. Chissà!


Ci racconta quando scrive, il suo tavolo da lavoro e se preferisce la carta o il pc?

A volte butto giù appunti sulla carta, seduta al bar, per non lasciarmi scappare un’idea che mi è venuta all’improvviso. Per questo porto spesso con me un Moleskin. Se però non ho niente a portata di mano, uso anche uno scontrino da supermercato. Quando devo imbastire la trama allora uso il pc.

Il mio tavolo è zeppo di carte, ritagli di giornale dove ho letto articoli che magari mi hanno ispirato qualche storia, libri di filosofia e anche di pittura, e poi devo avere un sottofondo di musica lirica.

Ci sono delle consuetudini, situazioni o atmosfere che cerca di ritrovare o ricreare perché aiutano il suo processo creativo?

Chiudo la porta della stanza, apro la finestra, cosi’ sento i rumori e le voci del mondo fuori e non quelle di casa mia. Poi a un certo punto sento solo i miei personaggi e tutto il resto scompare. Allora sono entrata nella storia.

Sta lavorando a qualcosa in questo periodo?

Sto lavorando a un albo che sarà presentato in Germania in occasione di una manifestazione del 2012, che vede coinvolti un autore italiano, uno francese e uno tedesco. Il tema è molto interessante. “Come i bambini insegnano a genitori, insegnanti e educatori a fare bene il loro mestiere”.

Io ho scelto il rapporto bambino/genitore.

Ha mai sognato il personaggio di una delle sue storie dopo averlo inventato?

No, ho sognato invece una storia e dopo l’ho scritta. Cosi’ è nato il mio romanzo “Jakob torna a casa”, edito da Le Marasche di S. Giovanni al Natisone, che però hanno chiuso l’attività. Il romanzo è arrivato nella rosa dei cinque finalisti al Premio Olzai in Sardegna nel 1996.

C’è qualcosa che vorrebbe lasciar detto in questa intervista?
Una riflessione, un pensiero, ciò che preferisce, ci dica.

Penso che scrivere per ragazzi è più impegnativo dello scrivere per adulti. I ragazzi non si lasciano incantare tanto facilmente, sono esigenti e non vogliono trucchi e inganni.
Anche lo stile, intendo la scrittura deve avere un certo spessore. Le parole sono significanti e significati, sono note musicali, sono pennellate del mondo reale che escono dalle mani dello scrittore. Devono quindi dare un ritmo al racconto e devono suggerire immagini.
Quando io apprezzo un libro, da lettore adulto, vuol dire che la storia mi ha creato delle emozioni, mi ha coinvolto al punto da non riuscire a chiuderlo finché non l’ho letto tutto.
E’ però anche vero che ci sono certi momenti di pausa nella storia che suscitano emozioni: il comportamento di un personaggio di fronte a una data situazione, il modo come l’autore è riuscito a creare una certa atmosfera anche nelle brevi descrizioni.

Non è esatto dire che nei romanzi per ragazzi non ci devono essere parti descrittive, semplicemente essere devono avere la giusta misura, devono suggerire più che dire, altrimenti il lettore si stanca e abbandona la lettura.

L’autore deve avere cura nella scelta delle parole al pari del musicista nella scelta delle note, e l’illustratore nell’abbinamento cromatico.

Non esiste l’Arte per bambini, direi parafrasando Croce, non esiste la Letteratura per bambini, esiste la Letteratura senza aggettivi.


Se qualcuno, per qualsiasi motivo, volesse utilizzare anche solo in parte l’intervista presente in questo post, dovrà chiedere esplicita autorizzazione all’autore che ha fornito le risposte.






Commenti

Unknown ha detto…
Sempre interessanti le tue interviste! A presto

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